Tre piani, il primo film di Nanni Moretti basato su un soggetto non originale, è tratto dall’omonimo romanzo di Eshkol Nevo. L’autore israeliano associa le istanze freudiane – Es, Io, Super-io – alla precarietà delle mura domestiche, teatro di lotte tra l’istinto, il principio di realtà e la legge morale. Da lettori e lettrici entriamo negli appartamenti di un condominio, li esploriamo uno alla volta, ma senza assistere alla nascita dei dilemmi che dilaniano le famiglie protagoniste: l’erosione delle fondamenta è già in atto, per cui possiamo soltanto farci custodi delle loro confessioni, condividerne l’urgenza. Quali sono allora i punti su cui ha lavorato Moretti – che firma la sceneggiatura con Valia Santella e Federica Potremoli – per intersecare i piani e raccontarceli in tempo reale?
Proviamo a individuarli.
1) La presentazione dei personaggi
Un omicidio stradale – l’antefatto che terremota l’ultimo piano di Nevo –, diventa l’incidente scatenante del film: squarcia letteralmente il palazzo, ma soprattutto il velo di Maya dietro cui si nascondono gli adulti.
2) Il punto di vista
Nel romanzo i personaggi affidano la loro versione degli eventi al dialogo febbrile, alla parola scritta, al vecchio registratore di una segreteria telefonica. Esercitano l’unica forma di controllo possibile, l’autorappresentazione: “Mi sto descrivendo un po’ più brillante di quanto in realtà non sia stata al momento”, ammette Hani per cercare la comprensione di un’amica, “Spero tu accolga con indulgenza questa licenza poetica”.
Lo sguardo di Moretti, invece, adotta un’obiettività chirurgica: “La profondità delle tematiche affrontate nel libro mi ha suggerito uno stile essenziale e un tono asciutto, che non permettono distrazioni o divagazioni”.
3) I personaggi si rivelano sotto pressione
“Io ho sempre pensato che il mondo si dividesse fra due tipi di persone: normali e criminali. E che ognuno di noi fa parte degli uni o degli altri. Non c’è via di mezzo. Ma quando sei sdraiato su un materasso puzzolente in cella a guardare il soffitto e le scritte lasciate da quelli passati prima di te, ti rendi conto che dipende solo da quanta pressione hai addosso, e in quali punti. In ognuno di noi c’è un piccolo criminale che in qualunque momento può rialzare la testa senza preavviso, capito?”. La riflessione di Arnon, l’inquilino del primo piano, sembra anticipare e motivare l’approccio di Moretti, Santella e Pontremoli: “Mentre nel libro le storie si interrompono nel momento più alto della crisi, nel film era importante farle accadere fino in fondo, indagare le conseguenze delle scelte compiute dai personaggi, vedere le ripercussioni che le loro azioni hanno sulla loro vita e su quella dei loro cari”.
4) Il tema
Per Dvora, imprigionata nel piano del Super-Io, “Esiste solo l’azione che una persona specifica, in un momento specifico, deve compiere”. Moretti riconosce nelle pagine di Nevo il nucleo tematico che più gli appartiene, e lo trasforma in una bussola che orienta le svolte dell’adattamento: “Ogni gesto che noi compiamo anche nell’intimità delle nostre case ha conseguenze che si ripercuoteranno sulle generazioni future. Di questo ognuno di noi deve essere consapevole e responsabile: le nostre azioni sono quello che noi lasciamo in eredità a chi viene dopo di noi”.
5) Il mondo narrativo
Dvora definisce l’edificio in cui abita “un’isola di ottusità e conservatorismo… abbiamo vissuto nel Borghesistan”. Concentrandosi sul topos, il regista sottolinea come applicassimo una forma di distanziamento sociale già prima della pandemia: “Questa storia racconta la nostra tendenza a condurre vite isolate, ad alienarci da una comunità che non solo non vediamo più, ma di cui pensiamo anche di poter fare a meno. Eppure le vicende di questi personaggi ci mostrano quanto tutti noi siamo coinvolti nello sforzo comune di sentirci parte di una collettività. Il film è un invito ad aprirsi al mondo esterno che riempie le nostre strade, fuori dalle nostre case. Ora sta a noi non rinchiuderci nuovamente nei nostri tre piani”.
Adele Augruso
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